Nato a Ischia di Castro (VT) nel 1912, risulta ancora attivo a inizio anni Ottanta. Figlio di un poeta, apprese tuttavia l'arte da Giuseppe Valentini. Bracciante agricolo per la maggior parte della vita, cantava a braccio già negli anni '30. Divenne poi il protagonista principale della ricerca dello studioso viterbese Antonello Ricci (2001:15 sgg.), che, insieme a a De Giovanni, ne curò per la stampa Le ottave della prigionia (De Giovanni e Ricci, 1984).
A Borbona si svolge annualmente il Festival di Canto a Braccio, giunto nel 2014 alla nona edizione. Borbona è inoltre sede, dal 1986, di un concorso di poesia, istituito raccogliendo l'invito del poeta Severino Lopez e in ricordo di un altro poeta borbontino, Sabatino Circi. Il 20 settembre 2014, nell'ambito del Festival di Canto a Braccio, si è svolta la gara di poesia estemporanea in ottava rima che ha visto misurarsi poeti provenienti da Lazio e Toscana. L'edizione 2014 della gara di Borbona era stata preceduta da selezioni che si sono svolte a Terranuova Bracciolini (AR), 1 giugno 2014, a Roma, 6 giugno 2014, e a Cittareale (RI), 12 luglio 2014. È risultato vincitore Alessio Runci, poeta di Terzone (RI).
La tradizione poetica a Borbona è di lunga data e il paese ha dato i natali a numerosi poeti estemporanei e dediti alla scrittura. Un censimento dei poeti borbontini con informazioni sulle loro biografie e sulla loro produzione si trova in Teofili 2008.
A Capricchia nel 1953, ricorda Emilio Fonzi, si organizzò una gara sperimentando il sistema dell’obbligo di rima, con risultati a suo dire poco soddisfacenti:
Tratto da Edmond About, Rome contemporaine, Paris, 1861 (About 1861: 121-124).
Mon arrivée n'avait pas interrompu un combat de virtuoses. Tous les dimanches, ou peu s'en faut, quelques amateurs de poésie se réunissent là pour improviser des vers. On les accouple deux par deux, et ils s'escriment tour à tour sur un sujet donné, comme les bergers de Virgile. Le texte ordinaire de leurs improvisations est l'histoire ancienne ou la mythologie. Je ne sais pas où ils ont fait leurs études, mais ils galopent sans broncher dans les champs de la fable et de l'histoire, depuis le chaos jusqu'à la mort de Néron. Si l'on épluchait trop soigneusement leurs vers, on y trouverait peut-être quelques anachronismes de détail, mais la poésie couvre tout de son manteau de pourpre et d'or. La prosodie italienne n'impose pas des lois bien sévère; la rime est facile à trouver dans une langue ou une moitié des mots finit en o et l'autre en a. Mais ce qui m'a le plus étonné dans ces tours de force, c'est le choix presque toujours heureux de l'expression brillante. Le vocabulaire poétique, fort différent du langage familier, s'est conservé, je ne sais comment, dans ces esprits demi-incultes. Un cordonnier qui savait à peine lire nous a débité la guerre de Troie dans le style le plus pompeux et le plus fleuri.
Une mandoline grattée discrètement accompagnait la voix du poète, car les vers se chantent et ne se parlent pas. C'est une sorte de récitatif rhythmé, une mélopée monotone et ronflante. Les Romains ont la voix haute, sonore, et presque toujours emphatique. Il n'y a pas une syllabe de leurs discours d'apparat qui ne soit accentuée par l'orgueil national.
Luogo di nascita di importanti poeti e sede di numerose gare documentate da Sarego 1987 e da Emilio Fonzi (Fonzi 1953, Fonzi 1954).
Si riporta la descrizione della gara di Preta dell’agosto 1953 tratta da Fonzi 1954: 19-31, in cui sono ricordati i poeti concorrenti, le modalità di svolgimento, i premi, i temi dati. Di particolare interesse sono i vari riferimenti alla presenza delle stenografe come figure previste dagli stessi organizzatori della gara e il passo in cui i Moschettieri di Poggio Cancelli si rifiutano di prendere parte alla competizione perché la gara non prevede la ripresa della rima lasciata dal poeta precedente. Se ne deduce che l’obbligo di rima non era una consuetudine condivisa da tutti nei primi anni Cinquanta; l’autore infatti definisce quella dei Moschettieri una “incredibile proposta”.
“Trattoria nostra” o degli improvvisatori
di Ettore Veo
da Osterie romane, Milano, Ceschina, 1949, pp. 117-124.
Al vicolo del Gallo, tra Campo de’ Fiori e Piazza Farnese, c’è la Trattoria Nostra. Non mia, né vostra, beninteso. Nostra, dicono a buon diritto i nativi si Poggio Cancello, residenti a Roma. È una trattoria, dunque, a forma di cooperativa; pulita quanto mai, ariosa e con un certo gusto, tra specchi, marmi e affreschi, direi artistico. Qui si danno convegno, come ho fatto capire, i nati e gli oriundi del paesello abruzzese il quale, nonostante la sua piccolezza, ha un’infinità di figli sparsi per il mondo. Di Poggio Cancello si dicono anche coloro che sono nati altrove, ma di genitori o di nonni però che lì, a Poggio, aprirono gli occhi alla luce. Ed è commovente, davvero, questa comunione di spiriti fraterni tanto più che compagna desiderata di essi è – indovinate un po’ – la poesia.
Pensavo che i poeti estemporanei fossero già nel ricordo di altri tempi, ma m’ingannavo rotondamente. A disingannarmi, ma a farmi piacere nel tempo istesso, venne un mio amico e poeta che ebbe la cortesia di accompagnarmi una domenica, nel pomeriggio, al vicolo del Gallo per farmi assistere ad una gara poetica all’improvviso; gara che riuscì animata e pittoresca.