Credits  |  Cerca nel sito  |  Contatti  |  News

Aporie-Testata

Arezzo, 10 maggio 1914 - Roma, 11 aprile 1996.

Di professione ambulante, si trasferì a Roma nel 1954. Autore dei volumi 400 poeti improvvisatori toscani, laziali, abruzzesi (Romanelli 1980) e Ricordando il poeta Angelo Felice Maccheroni (Romanelli 1982), più volte citati in queste pagine e da cui abbiamo ricavato varie informazioni sui poeti estemporanei, è egli stesso a ricordare, in Romanelli 1980: 23, i propri esordi come poeta:

Ripenso a quando è che mi resi audace:
avevo dodici anni solamente
nella località detta La Pace.
È festa, radunata è molta gente:
l'istinto natural che in me non tace
mi convinse di entrare in un ambiente
dove sentivo che si disturnava
il canto improvvisato dell'ottava.


Ad un tratto una voce mi chiamava:
era mio nonno e m'invitò vicino
ai suoi colleghi, e poi mi presentava
ricordo di Coniaia il Donatino
il quale improvvisando m'invitava:
« Su provati a cantare ... o ragazzino».
Tanta insistenza fu, che alla proposta
decisi alfine dare una risposta.

Per me fu una serata ben disposta:
la gente tanta che m'incoraggiava,
allora verseggiando senza sosta
replicavo alle rime che mi dava.
A me sembrava che facesse apposta
il ritmo del dir sempre aumentava
mettendo a prova la mia resistenza
nel primo esordio della mia esperienza.

Da varie ottave pubblicate in Romanelli 1980 si deduce che egli era stato partigiano.

Marco Müller ne fornisce il seguente ritratto, come introduzione ai 400 poeti improvvisatori toscani, laziali, abruzzesi (Romanelli 1980: 13-18):

La prima volta che ho sentito Edilio Romanelli improvvisare in ottava rima è stato in occasione di una gara poetica a Tolfa, nell'inverno 1969. Eravamo allora un gruppo di tre ragazzi (Pietro Di Pietro, Gianni Kezich e io) che si interessavano alla cultura del mondo popolare dell'Alto Lazio, ed avevamo da poco scoperto la vitalità della poesia “a braccio" nella zona compresa tra Cerveteri e Tarquinia (inoltre, ci accompagnava quella sera su per i monti tolfetani Sandro Portelli, che fu per noi a lungo una sorta di padre spirituale). Quella gara era un'occasione molto importante, con essa si voleva riaccendere tra la gente l'interesse per l'improvvisazione cantata in ottave – interesse che era andato scemando, ci dissero, per colpa della concorrenza della televisione, cioè della concomitanza di gare e serate poetiche con trasmissioni molto seguite nazionalmente (ricordo che in quell'occasione «Il rischiatutto» ci venne presentato come uno dei mortali nemici della poesia). E quella volta gli organizzatori avevano vinto la scommessa, il cinema straboccava di gente (salo uomini, però), accorsa ad assistere allo scontro tra i poeti locali e i maggiori poeti del Lazio. E c’era anche un rappresentante della scuola toscana, un aretino stabilitosi da lungo tempo a Roma di cui c’era già stato più volte parlato perché, in quasi vent'anni di partecipazione alle iniziative laziali sull'ottava rima, si era guadagnato un temibile primato di campione. Ma ciò che più ci colpì di Edilio, in questo nostro primo incontro con lui, non fu tanto la scioltezza dell'improvvisazione e la noncuranza con cui arrivava a snocciolare versi là dove altri poeti avrebbero arrancato con fatica per restare fedeli e al tema e alla rima: quello che ci sorprese in lui fu la capacità di far emergere tra le righe dell'ottava spunti sociali e di satira politica anche quando il soggetto pareva non prestarsi ad un’utilizzazione in tal senso. Quelli erano ben lontani dall’essere tempi in cui le giurie assegnavano ai poeti concorrenti temi per la discussione (il “contrasto”) con precisi agganci ai problemi del momento, e anche il pubblico popolare si era ormai assuefatto a svolgimenti “classici” (cioè codificati nelle immagini) di temi “classici” (cioè da tempo ripetuti in ogni occasione: «L'acqua e il vino», «La lepre e il cacciatore », «L'ubriaco e la moglie», ecc.) Edilio non era però il solo a forzare l'angustia del soggetto assegnatogli, introducendovi accenti di critica sociale: proprio quella stessa sera, uno degli improvvisatori locali aveva saputo rigirare su se stesso un tema di descrizione paesaggistica trasformandolo in una satira del malgoverno (il pretesto era la strada che da Tolfa scende a Santa Severa, costruita in fretta per fini elettorali e poi lasciata in uno stato d'incuria – i mali della strada erano paragonati a quelli del l'Italia). Però Edilio aveva qualcosa in più, nel suo caso era difficile accorgersi che il tema era stato forzato tanto era sapientemente dosata la costruzione non solo formale (una cosa che in lui mi ha sempre sorpreso è che riesce, nella maggioranza dei casi, a curare anche il ritmo e gli accenti sul piano del contenuto). Prima che la serata finisse, la platea ebbe modo di esultare più volte per le invenzioni che Edilio con grande maestria aveva disseminato nelle sue ottave: ho ancora in mente un distacco di chiusura approfittando del sorteggio di un tema un po' più “contemporaneo” del solito, Edilio aveva tirato fuori lo scontento dei cittadini per i recenti provvedimenti economici del governo e trionfalmente concluso «e così han gabbato i cittadini / dal decreto si faccia i decretini».
Devo tuttavia confessare con molta franchezza, che all'inizio diffidavo dell'estremo professionismo di Edilio: altri poeti, certamente meno levigati e fortunati di lui nelle loro soluzioni compositive, mi parevano più schietti di quelle sue incastellature così perfette, che mi sapevano invece di stereotipi precostituiti. Sbagliavo in questa mia opinione, perché ancora non conoscevo i meccanismi che regolano il funzionamento dell'improvvisazione poetica orale in ottave: la riuscita della composizione poetica non è misurabile in termini di originalità (uno tra i valori assoluti della poesia scritta, che può essere limata e ritoccata più volte prima della pubblicazione) ma deve essere valutata considerando la rispondenza all’dea del momento (quella proposta nel tema e lentamente organizzata in punti da sviluppare) di una creazione che è spontanea ma si basa su moduli e formule convenzionali. In quest’ottica, Edilio Romanelli ha avuto un duplice merito: quello di dimostrare nella pratica (recandosi, ad esempio, a cantare la storia e gli ideali di una lotta con le sue ottave improvvisate proprio nel momento e nel luogo dove essa si stava svolgendo: occupazioni di fabbrica, manifestazioni politiche, ecc.) che le strutture convenzionali dell’ottava potevano prestarsi a qualsiasi attualizzazione dei contenuti; il secondo è stato quello di contribuire in modo decisivo alla riforma dall'interno dell'ottava, fornendo supporti ad una sua modernizzazione (e politicizzazione) coll’inventare nuove formule, sovente mutuate dalla lingua di tutti i giorni – Edilio è fra i più convinti sostenitori della necessità di “de-aulicizzare” la corrente produzione in ottave.
Edilio Romanelli è profondamente consapevole dei mezzi tecnici della sua creazione, può permettersi di giuocare con il linguaggio perché sa ricondurre le invenzioni della sua fantasia agli schemi che costituiscono le impalcature della poesia estemporanea in ottava rima. Non è tuttavia, come spesso accade tra gli improvvisatori, geloso di queste sue conoscenze: la nuova leva di giovani poeti che è nata (talora con risultati eccezionali) o sta nascendo in alcuni – troppo pochi – centri del Lazio, della Toscana e dell'Abruzzo lo ha avuto, a seconda dei casi, come maestro, consigliere o almeno avversario amichevole e disposto a lasciar loro spazio per esprimere il meglio delle potenzialità (Edilio non è uomo da battagliare a colpi dì chiusure “strette” o sfoggi di erudizione mitologico-cavalleresca). La coppia Romanelli-Prati ha riscosso grande successo anche al di fuori del circuito tradizionale delle competizioni e delle serate conviviali di poesia. Al Festival nazionale dell'Unità di Genova (1978) Edilio e Stefano hanno sbalordito la platea rispondendo con ottave dense di contenuto e di invenzione al fuoco di fila dei temi lanciati dal pubblico. A Parigi, nel marzo del 1979, hanno degnamente rappresentato la poesia improvvisata dell'Italia centrale, all'interno degli spettacoli della «Settimana della cultura popolare italiana», con un'esemplificazione della gamma vastissima delle loro possibilità creative, alternando temi tradizionali a suggerimenti innovativi (e anche in quel caso hanno saputo tener testa con successo alla pioggia di richieste di improvvisazione che un pubblico straniero rovesciava su di loro).
La maestria di Edilio sarà testimoniata alle generazioni future dalle decine di nastri conservati principalmente presso l'Istituto Ernesto De Martino e la Discoteca di Stato, che non solo registrano la sua partecipazione alle principali gare e serate di poesia tenutesi negli ultimi decenni nelle più disparate località dell'Italia centrale, ma contengono anche la storia della sua vita e i suoi insegnamenti sul metodo creativo (una tra le più esemplari “lezioni” è quella, registrata addirittura su audiovisivo, conservata presso il Centro Pompidou di Parigi) – e speriamo che non vadano distrutte le registrazioni delle sue apparizioni televisive. Accanto a questi documenti della fase orale delle sue attività, sarà possibile consultare – tra breve anche sotto forma di una raccolta organica che Edilio pensa di pubblicare entro l’anno – le centinaia di ottave, sonetti e poesie nei metri più differenti che costituiscono la sua produzione scritta, sinora soltanto parzialmente pubblicata a stampa sotto forma di fogli volanti (alcuni dei quali – penso alla serie di ottave scritte in occasione della campagna per il divorzio – sono testimonianza del suo mai spento impegno ci vile) o contenuta in antologie di più ampio respiro.
Di questa produzione scritta, il lungo poema che segue è un po’ il punto d'arrivo. Non credo che Edilio pensi di ripetere in futuro il tour de force di una concatenazione di oltre quattrocento ottave – improba fatica alla quale si sono sottratti molti tra i più insigni autori di poemi in ottava rima della nostra tradizione aulica (anche se con essa si sono cimentati più volte, in tempi più o meno recenti, i poeti popolari). Al di là dei pregi e dei difetti di questa lunga narrazione scritta in versi, vorrei che la si leggesse come una cristallizzazione della abilità di improvvisatore orale di Edilio Romanelli, una summa delle esperienze accumulate nella sua pluridecennale attività di poeta estemporaneo (del resto, anche nelle intenzioni essa vuole essere soprattutto il monumento a un mondo di poesia orale in gran parte scomparso e ormai in lento e – ritengo – inarrestabile disfascimento). La fìgura di Edilio Romanelli occupa una posizione centrale nella storia della poesia in ottava rima di questi ultimi cinquant'anni, egli è uno tra gli ultimi continuatori della grande scuola toscana. Con quest’opera, però, egli non ha voluto rendere omaggio solo alle sue fonti ma ha abbracciato in un'affettuosa e generale veduta tutti coloro che hanno bene o male contribuito alla sopravvivenza nella Toscana, nel Lazio e nell'Abruzzo di una forma espressiva così importante come l'ottava cantata. Prescindendo dai suoi meriti stilistici, abbiamo davanti a noi l’epopea collettiva della fase più compiutamente moderna della poesia popolare in ottava rima.

Su Edilio Romanelli si vedano inoltre:
Romanelli e Vincenti 1981
Landi, Florio, Romanelli 1987
Barontini 2000
Landi 2001
Müller 2013